Di Mara Vegansoya Ci hanno portato a pensare che l’effetto serra sia dovuto esclusivamente alle emissioni di industrie e trasporti, una credenza questa, che spinge il cittadino medio all'insofferenza e alla rassegnazione, scoraggiato dal fatto di non riuscire a intaccare forze più grandi di lui. I mezzi di informazione non rivelano però come secondo un rapporto FAO del 2006 [1] confermato anche dallo studio di Mc Michael, J.W Powles, C.D Butler e R. Uauy del 2007, il 18 % della quantità dei gas serra prodotti artificialmente dall'essere umano e non presenti nell'originario equilibrio terrestre (metano e ossido di azoto in particolare), sia prodotto dagli allevamenti intensivi nel processo di digestione e fermentazione delle deiezioni, un dato questo, che porta la zootecnia a diventare la seconda causa di emissioni di gas serra globali. Si è calcolato, in altre parole, che una bistecca di manzo causi un emissione di gas serra e altri inquinanti equivalente a quella che si ottiene guidando per tre ore lasciando accese tutte le luci di casa (Fanelli 2007), eppure gli interessi di lobbies economiche sono così forti in questo ambito da non lasciar trapelare dati di questo tipo né in prima serata né dei manuali nelle scuole dell’obbligo. Così finiamo per non associare la produzione di carne al reale inquinamento di cui essa è causa. Il deflusso delle sostanze di scarto dagli allevamenti che si riversa nelle acque e contamina l’aria è causa prima di tutto di problemi respiratori, problemi all'apparato digerente, cefalee ed epidemie ma anche, cosa non meno importante di una degradazione della potabilità dell’acqua delle falde irreversibile (Joy 2010: 94). Come se non bastasse secondo il rapporto FAO del 2006 [2] il 70 % del terreno disboscato viene impiegato non tanto per il legname, che spesso viene persino dato alle fiamme, ma comprato dalle multinazionali alimentari per farne pascoli per nutrire gli animali da carne[3].L’importanza del consumo di cibi vegetali rispetto a quelli di origine animale diventa sempre più una priorità imprescindibile per il nostro pianeta, anche più della scelta di prodotti a km zero piuttosto che biologici. Uno studio di due ricercatori della Carnegie Mellon University (Weber e Matthews 2008) ha paragonato in termini di emissioni di un auto i diversi stili alimentari arrivando a scoprire che l’impatto sui gas serra dipende più dal cibo che si sceglie che dalla lontananza dalla quale esso arriva. In una famiglia media, scegliendo di comprare solo prodotti locali per un anno si risparmiano circa 1600 km-cibo, scegliendo di mangiare solo cibi vegetali per un anno di km-cibo se ne risparmiano ben 13.000. Un alimentazione onnivora risulta avere secondo il dossier di Foodwatch del 2008[4] un impatto ambientale otto volte maggiore rispetto a un alimentazione prettamente vegetale. Non è né ecologicamente né eticamente sostenibile una situazione dove le piantagioni vengono coltivate con priorità data al foraggio piuttosto che a sfamare quante più persone possibili. L’economista francese Frances Moore Lappè ha osservato come negli USA, nel 1979, al bestiame siano state somministrate 145 milioni di tonnellate di cereali e soia, e di queste solo 21 milioni siano tornate ad essere disponibili per l'alimentazione umana sotto forma di carne e uova: “il resto, equivalente a circa 124 milioni di tonnellate di cereali e soia, è stato sottratto al consumo umano” (Lappè 1971: 69,124). Lappè ha calcolato che se queste 124 milioni di tonnellate di cereali e soia fossero state convertite per l'alimentazione umana, avrebbero fornito “l'equivalente di una ciotola di cibo per ogni essere umano del pianeta per un intero anno”(Lappè 1971: 69,124). Nel mondo circa il 70 % dei terreni agricoli sono adibiti a pascolo[5], per sfamare animali che, se di grossa taglia, che convertiranno in media 15 chili di quei cereali in un misero chilo di carne rossa sprecando più di 15 mila litri d’acqua: uno spreco insensato se teniamo conto che per far crescere un chilo di pomodori bastano 200 litri d’acqua e che il cereale più dispendioso, il riso, ne necessita 2500 (che non è molto se paragoniamo il potere nutritivo di un chilo di riso cotto a quello di un chilo di carne)[6]. Di fronte all'ovvietà del dolore animale, della distruzione ambientale in atto e della palesemente iniqua distribuzione delle risorse, non possiamo che chiederci quale sia il motivo per il quale, ormai nel ventunesimo secolo, facciamo come specie umana così largo uso della vita degli altri esseri animali. Fanelli Daniele (2007) “Meat is murder on environment”, New Scientist, n° 2613, 18 luglio, p. 15. Lappè Francis Moore (1971) Diet for a small planet, New York, Ballantine Book. Joy Melanie (2010) Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche, Casale Monferrato, Sonda, 2012 [1] FAO Food and Agriculture Organization of United Nations, “ Livestock’s long shadow”, novembre 2006, p. XXI. ftp://ftp.fao.org/docrep/fao/010/A0701E/A0701E00.pdf [2] FAO: Food and Agriculture Organization of United Nations, Agriculture and Consumer Protection Department, “ Livestock impacts on the Environment”, 2006. http://www.fao.org/ag/magazine/0612sp1.htm [4] Foodwatch: Istituto tedesco per la Ricerca sull'Economia Ecologica (2008), Klimaretter Bio?, 25 agosto 2008, p. 2. http://www.foodwatch.org/uploads/media/foodwatch-Report_Klimaretter Bio_20080825_01.pdf [5] FAO: Food and Agriculture Organization of United Nations, “AGP - Grasslands, Rangelands and Forage Crops”. http://www.fao.org/agriculture/crops/core-themes/theme/spi/grasslands-rangelands-and-forage-crops/en/ [6] Water Footprint, Products Gallery. http://www.waterfootprint.org/?page=files/productgalleryui per effettuare modifiche.
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